L’ignoranza è madre della felicità e beatitudine sensuale. Chi aumenta la sapienza, sappia che aumenta il dolore. (Giordano Bruno)

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Se ciò che facciamo ogni giorno non è altro che pensare, immagazzinare quante più informazioni possibili, anticipare il futuro nella nostra mente, forse sarebbe meglio imparare ad arrendersi al “nemico”: l’ignoto, il non sapere. Solo l’ignoranza ci dona la vera libertà.

Per assaporare l’autentica libertà personale hai bisogno di non conoscere alcune parti della tua vita presente e futura. Se tutto è già scritto per te, se sai già come andrà a finire, sei meno libero di compiere delle scelte e di prendere decisioni E proprio per rimpiazzare quel “vuoto” si accendono in noi la curiosità e la creatività: ecco perché soprattutto gli artisti, gli artigiani, gli scienziati e gli imprenditori dovrebbero accogliere l’ignoranza e riempirla di nuove idee. “C’è sempre qualcosa che ignoriamo, altrimenti non avremo nulla da scoprire.

Essere saggio vuol dire ignorare con intelligenza

Il saggio non è colui che accumula molta conoscenza o esperienze, piuttosto è colui che sa usare efficacemente tutto ciò che ha appreso e che è capace di ignorare le cose inutili.

Giordano Bruno,  filosofo, scrittore e monaco italiano appartenente all’ordine domenicano vissuto nel XVI secolo, nel corso del Secondo dialogo degli Eroici furori, discute sulla saggezza.

L’ignoranza – afferma – è “madre della felicità e della beatitudine sensuale”, per cui solo qualche “insensato e stolto” può appagarsi del proprio stato di ignoranza, condannandosi così ad abitare “l’orto del paradiso degli animali”. D’altra parte, come si legge nel Qohèlet: “chi aumenta la sapienza aumenta il dolore”. “Chi dunque  sarà savio se pazzo è colui ch’è contento, e pazzo è colui ch’è triste?”.

La prospettiva qui proposta è simile a quella – a Bruno ben nota – della filosofia epicurea, e in particolare di Lucrezio, poeta da lui amato e al quale si ispira per i suoi componimenti latini in versi. La conoscenza della natura e delle sue eterne vicissitudini, infatti, ha per Lucrezio la funzione di consolidare il suo atteggiamento di distacco emotivo dal mondo: un mondo agitato, travagliato dal dubbio.

Ignorare le cause assilla le menti dubbiose,
se il mondo abbia avuto davvero un’origine e un giorno natale,
e insieme se avrà un termine […]

Si tratta di un assillo, di un tormento senza tregua che può comportare lo svuotamento del senso stesso della vita, in un perenne affannarsi senza scopo.

Se gli uomini potessero, come è chiaro che sentono il peso
che grava loro nell’animo e li tormenta e li opprime,
conoscere anche le cause per le quali ciò avviene,
e perché quel fardello di pena sussista immutato nel cuore,
non trarrebbero la vita così, come ora per lo più li vediamo
non sapere che cosa ciascuno desideri […]

Il sapiente osserva da lontano questo vano agitarsi dell’umanità, e ad esso si sente estraneo, pur ben conoscendo i penosi moti dell’animo che attanagliano i mortali.

E’ dolce, quando i venti sconvolgono le distese del vasto mare,
guardare da terra il grande travaglio di altri;
non perché l’altrui tormento procuri giocoso diletto,
bensì perché t’allieta vedere da quali affanni sei immune.

Questo atteggiamento di distacco è reso possibile dalla conoscenza della natura delle cose, dalla conoscenza scientifica.

In questa prospettiva, la conoscenza scientifica non è soltanto, per il sapiente, una distaccata rassegna di verità sul mondo: essa ha a che fare con la sua vita, con il suo rapporto con le passioni, con l’importanza attribuita alle cure e alle brame che occupano l’esistenza dei più.